Galati 3,15-22
Fratelli, ecco, vi parlo da uomo: un testamento legittimo, pur essendo solo un atto umano, nessuno lo dichiara nullo o vi aggiunge qualche cosa. 16Ora è appunto ad Abramo e alla sua discendenza che furono fatte le promesse. Non dice la Scrittura: «E ai discendenti», come se si trattasse di molti, ma: E alla tua discendenza, come a uno solo, cioè Cristo. 17Ora io dico: un testamento stabilito in precedenza da Dio stesso, non può dichiararlo nullo una Legge che è venuta quattrocentotrenta anni dopo, annullando così la promessa. 18Se infatti l’eredità si ottenesse in base alla Legge, non sarebbe più in base alla promessa; Dio invece ha fatto grazia ad Abramo mediante la promessa.
19Perché allora la Legge? Essa fu aggiunta a motivo delle trasgressioni, fino alla venuta della discendenza per la quale era stata fatta la promessa, e fu promulgata per mezzo di angeli attraverso un mediatore. 20Ma non si dà mediatore per una sola persona: ora, Dio è uno solo. 21La Legge è dunque contro le promesse di Dio? Impossibile! Se infatti fosse stata data una Legge capace di dare la vita, la giustizia verrebbe davvero dalla Legge; 22la Scrittura invece ha rinchiuso ogni cosa sotto il peccato, perché la promessa venisse data ai credenti mediante la fede in Gesù Cristo.
Paolo ragiona con “argomentazioni” prese dalla sua personale esperienza, dalla Scrittura, e prese dal vivere quotidiano, riportandolo subito alla Scrittura, cioè al disegno di Dio. Dal vivere quotidiano prende l’esempio del testamento.
Un testamento legittimo e valido nessuno può dichiararlo nullo, tanto meno se … è Dio a fare testamento! La promessa di una discendenza (cioè … Cristo!) fatta ad Abramo è considerata da Paolo come un vero testamento.
Ebbene, una legge (quella di Mosè) venuta quattrocento anni dopo non può dichiarare nulla la promessa/testamento fatta molto prima. Pertanto l’eredità/salvezza si ha in base alla promessa antica fatta da Dio ad Abramo, e non in base alla legge venuta dopo. Dire promessa è dire grazia: “Dio ha fatto grazia ad Abramo mediante la promessa”.
Giustamente Paolo sente di dover rispettare una domanda: “Perché allora la legge? A che serve?”. Egli ragiona così. “La legge fu aggiunta in seguito per mettere in evidenza il peccato fino a che non fosse venuto il discendente che era stato promesso.” E poi anche: “La legge è stata data per mezzo di angeli, i quali si servirono di un mediatore (Mosè)”. Ma – risponde Paolo a modo umano – “Quando vi è una sola persona che agisce, non c’è più bisogno di un mediatore”. E conclude (un po’ precipitosamente): “E Dio agisce da solo”.
Una seconda domanda/provocazione: “La legge è dunque contraria alla promessa di Dio?”. Paolo ragiona così: la legge sarebbe contraria alla promessa se fosse capace essa di “dare la vita, la giustizia”. Ma questa affermazione è negata da tutta la Scrittura. La Scrittura infatti “ha dichiarato che tutti sono prigionieri del peccato, perché la promessa venisse data ai credenti mediante la fede in Gesù Cristo”.
Dunque, il regime della legge non è stato che una tappa provvisoria nella storia della salvezza; la venuta di Cristo vi pone fine, o meglio, vi dà compimento. Il regime della legge rivela all’uomo il suo stato di asservimento, e fa sorgere in lui l’attesa del liberatore. [lo vedremo meglio domani]