Pregherò anche con la mia intelligenza

1Cor 14,13-25

Paolo – che ha davanti una comunità viva ma anche turbolenta – insiste sul tema delle lingue. Dà precise indicazioni perché la comunità possa venire edificata/costruita bene..

Se uno parla in lingue sconosciute – dice – chieda anche di poterle interpretare, di modo che la preghiera sia utile per tutti e sono solo per lui.

“Pregare o cantare con lo Spirito” (un pregare “ispirato/intimo”) significa farsi capire soltanto dallo Spirito/Dio. “Pregare o cantare con la ma mente” (essere in comunicazione con … ) significa farsi capire dagli uomini.

Se io – dice Paolo – non mi faccio capire dagli uomini, come possono essi dire “Amen” al termine della preghiera? La preghiera era bella, ma essi non hanno capito niente, e così non hanno ricevuto beneficio.

Conclude in modo secco e comprensibile da tutti: “In assemblea preferisco dire cinque parole con la mia intelligenza (quindi intelligibili) per istruire anche gli altri, piuttosto che diecimila parole con il dono delle lingue (quindi incomprensibili).

“Fratelli, non ragionate da bambini”. Per quanto riguarda il male siate bambini (= non fate il male), ma per quanto riguarda il ragionare o valutare siate adulti. E, da adulti, bisogna ragionare così. La capacità di “parlare in lingue” sconosciute è un segno non per i credenti, ma per gli increduli. “Profetizzare” invece è un segno non solo per gli increduli, ma per i credenti.

La comunità ha bisogno di qualcosa che la faccia crescere e non di “spettacoli” che mettono in crisi gli estranei (entrando in assemblea potrebbero dire: sono tutti matti!). I non credenti e anche coloro che sono all’inizio della fede hanno bisogno di qualcosa che li porti a credere e poi a esclamare: “Dio è veramente tra voi”.

La pace, l’ordine, l’armonia che sono nella comunità sono la più bella “profezia” per il mondo.