Ora mi ricordo dei mali che ho commesso

 

Maccabei 6,1-17

Di fatto il re Antioco IV Epìfane, grande persecutore dei Giudei, morì nel 164 a.C.

Il racconto della sua morte riveste un carattere morale e catechetico. Vuole cioè insegnare qualcosa al lettore attento. Tutto ha un senso, tutto deve essere spiegato secondo la visione teologia dell’autore.

La fine del “tiranno”, dunque, assume un aspetto patetico e penitenziale ad un tempo. Antioco vede che tutto gli va male, e per giunta si ammala, cade in profonda depressione … sulla soglia della morte. Capisce (ma è l’autore che glielo fa … capire!) che tutti i suoi guai provengono da scelte sbagliate che ha fatto nella vita. Scelte che chiama finalmente col loro nome: sono “mali” compiuti contro Gerusalemme (12).

Si pente? Non ha importanza! L’importante è capire (per chi legge) che alla fine è soltanto Dio che comanda, e tutto si svolge secondo il suo misterioso disegno.

La morte di Antioco dunque diventa un segno: insegna che … non si deve fare come ha fatto lui!

”Poi chiamò Filippo, uno dei suoi amici, lo costituì reggente su tutto il suo regno e gli diede il diadema, la sua veste e l’anello, con l’incarico di guidare Antioco, suo figlio, e di educarlo a regnare. Il re Antioco morì in quel luogo l’anno centoquarantanove. Lisia fu informato che il re era morto e dispose che regnasse Antioco, suo figlio, che egli aveva educato fin da piccolo, e lo chiamò Eupàtore (significa “figlio di un padre nobile”)”. [Antioco V Eupatore regnerà soltanto tre anni. Sarà ucciso da suo cugino Demetrio]