B. Nicolò Albergati

10 maggio

BEATO NICOLO' ALBERGATI, VESCOVONIcoloAlbergatiJPG

 

Memoria

Nicolò Albergati (Bologna, 1375 circa - Siena, 1443) entrò a 18 anni fra i monaci di S. Bruno nella Certosa dì S. Gìrolamo di Casara, presso Bologna. Ordinato presbitero nel 1404 ed eletto Priore tre anni dopo, operò instancabilmente per la riunificazione dell'Ordine Certosino lacerato da contrasti e tensioni. Dopo la morte del vescovo Giovanni di Michele, il clero e ìl popolo nel 1417 lo acclamarono Vescovo. Ebbe così inizio uno dei più fervidi servizi episcopali nella storia della nostra Chiesa nei settori vìtalí dell'evangelizzazione, della liturgia e della carità; verso gli umili e i diseredati. Creato cardinale da Martino V nel 1426, estese alla Chiesa universale la sua diaconia. Pacificatore tra i popoli e promotore dell'unione fra la Chiesa Latina e Greca, fu incaricato nel 1438 di presiedere il Concilio ecumenico di Ferrara-Firenze. S. Antonino di Firenze, che lo conobbe di persona, lo chiamò "pater pauperum". Nominato Penitenziere Maggiore e Tesoriere di S. Romana Chiesa da Eugenio IV, dovette trasferirsi a Roma. Morto a Siena il 10 maggio 1443, fu sepolto nella Certosa di Firenze. Nel 1744 Benedetto XIV lo annoverò fra i beati.

Dal Comune dei pastori con salmodia dei giorno dai salterio, eccetto quanto segue:

 

INVITATORIO

Ant. Venite, adoriamo il pastore supremo, Cristo Signore, alleluia.

Salmo ínvitatorio come nell'Ordinario.

 

UFFICIO DELLE LETTURE

 

SECONDA LETTURA

"Lettera al popolo bolognese" del beato Nicolò Albergati, vescovo (dalle Efemeridi dell'Ordine Certosino, a cura dí
D. Leone Levasseur, I1, p. 19).

Il Beato rifiuta umilmente la dignità episcopale
propostagli dalla comunità bolognese

Non c'è bisogno o miei concittadini di questo nuovo attestato della vostra benevolenza verso di me, e non penso di esser tenuto a ringraziarvi a meno che — lo dirò liberamente — io non abbia a ringraziarvi per avermi sottratto la pace e la tranquillità dello spirito, a me tanto cara. Vi sono grato per la benevolenza, ma lo sarei molto di più se voi aveste desiderato per me quel bene, cui da tempo Dio mi ha legato, di vivere sulla terra, non solo come ospite e pellegrino, ma pure esule.

Non vogliate credere ad ogni ispirazione (1 Gv 4, 1): che direste se venisse dallo spirito maligno, quella che giudicate di ispirazione divina? Non conoscete le arti del nemico ingannatore, use a nascondersi special-mente dietro la maschera dell'onestà e della religione?

Sappiate, figlioli, che le voci del popolo non sono senz'altro le voci di Dio. Non continuate ad ingannare voi stessi e me. E macabro voler dissotterrare, perché vi governi, un cadavere sepolto da ventidue anni. Non turbate la pace di un morto: vi sarà più utile nel suo sepolcro che fra i vivi, e impetrerà per voi il santo timor di Dio, in cui consiste la vera vita.

Forse ignorate che cosa significhi morire vivendo ed essere sepolto insieme con Cristo (Rom 6, 4). E tuttavia un errore reclamare un monaco, uno che non appartiene più alla città, ma è fuggito dal mondo e siè dato alla solitudine. Che un simile uomo non debba essere posto a capo della città, imparatelo dai vostri avi. Essi videro san Petronio venire al governo non da un eremo, ma dallo splendore della corte imperiale. Non sono amante di me a tal punto da non sentirmi anch'io figlio della mia patria, debitore della mia patria, ad essa legato da affetto congenito. Ma ci sono dei limiti che non è lecito varcare. Colui per il quale le tenebre sono luminose, sa bene se, sulla nave agitata da tanti pericoli, io noncurante dorma il sonno di Giona, o se con gli Apostoli io gridi: «Signore, salvaci: siamo perduti» (Mt 8, 25).

Andate, in nome di Dio, andate con Dio, carissi­mi, e cercate un pastore più adatto a voi. Lasciate stare questo Certosino inesperto: lasciatelo quieto fra i silenzi cui si è votato: e siate certi che ciò sarà sommamente caro a Dio.

Oppure:

Dal Trattato «La scala dei monaci» di Guido II, certosino (Cap. 1, Xl; SC 163, 82-84.112-114)

I quattro gradì della preghiera

 

Un giorno, durante il lavoro manuale, cominciai a pensare all'esercizio spirituale dell'uomo, e subito si offrirono alla riflessione del mio spirito quattro gradi spirituali: lettura, meditazione, preghiera, contemplazione. E la scala che eleva i monaci dalla terra al cielo. Certo ha pochi scalini; è però immensa e di incredibile altezza. La sua base è sulla terra, la sua sommità penetra le nubi e scruta i segreti dei cieli.

I gradi sono diversi nei nomi e nel numero e distinti per ordine e importanza. Chi valuta con cura l'efficacia di ciascuna di essi, le loro differenze e la loro gerarchia, scopre tanta utilità e dolcezza da non av­vertire più la fatica per l'applicazione a questo esercizio spirituale.

La lettura è l'attento studio delle Scritture, fatta da uno spirito riflessivo. La meditazione è una operazione dell'intelligenza, che si dedica alla ricerca razionale di una verità nascosta. La preghiera è una religiosa applicazione del cuore a Dio per vincere il male e camminare nella via del bene. La contemplazione è una elevazione a Dio dell'anima che, attratta al di sopra di sé, assapora le gioie e la dolcezza dello Spirito.

l diversi gradi sono collegati fra loro, non solo nell'ordine del tempo, ma anche nell'ordine della causalità. Infatti la lettura è il primo gradino e il fondamento; essa propone il soggetto e guida alla meditazione. La meditazione ricerca più intimamente ciò che bisogna desiderare; scavando essa scopre il tesoro e lo mostra, ma poiché non lo può cogliere da sola essa conduce alla preghiera. La preghiera, elevandosi con tutte le forze verso Dio, domanda a Lui il tesoro tanto desiderato: la soavità della contemplazione. La contemplazione, infine, ricompensa il lavoro dei primi tre gradi; essa inebria l'anima assetata con la rugiada di una celeste dolcezza. La lettura è l'esercizio esterno, la meditazione è l'atto dell'intelligenza interiore, l'orazione è il desiderio, la contemplazione è il superamento al di sopra dí ogni umano sentire. Il primo grado è quello dei principianti, il secondo dei proficienti, il terzo dei ferventi, il quarto dei beati.

Perciò possiamo dire che la lettura senza meditazione è arida; la meditazione senza lettura è soggetta ad errore; la preghiera senza meditazione è tiepida; la meditazione senza preghiera è infruttuosa. La preghiera fatta con fervore ottiene la contemplazione, ma il dono della contemplazione senza preghiera è raro e prodigioso.

Beato l'uomo che, venduti i beni che possiede, compra il campo in cui si trova nascosto questo tesoro così desiderabile del raccoglimento e dell'esperienza intima di quanto è buono e soave il Signore. Beato colui che, applicato al primo grado, tutto intento al secondo, fervente al terzo, elevato al di sopra di sé nel quarto, sale progressivamente attraverso questi sentieri dello spirito fino a vedere Dio stesso in Sion. Beato colui al quale è dato, anche solo per un breve tempo, di rimanere in questo grado supremo e che può vera-mente dire: Ecco, io sperimento l'amore di Dio; ecco io contemplo la sua gloria con Pietro e Giovanni sulla santa montagna.

 

RESPONSORIO 1 Ts 2, 8; Gal 4, 19

R: Per il grande affetto che vi porto, vi avrei dato non solo il vangelo di Dio, ma la mia stessa vita: * sie­te diventati per me figli carissimi, alleluia.

V: Per voi soffro le doglie del parto, finché non sia formato Cristo in voi.

R: Siete diventati per me figli carissimi, alleluia.

 

ORAZIONE

O Dio, luce e pastore dei credenti, che hai chiamato il beato Nicolò Albergati dalla solitudine orante al ministero apostolico a illuminare il tuo popolo con la parola e la testimonianza della vita, concedi a noi di custodire fedelmente la sua eredità sotto la guida di Maria, provvida stella sul nostro cammino. Per il nostro Signore.