Introduzione di Luca Mazzinghi

[Attenzione! Questa mattina non troverete il mio “accompagnamento” solito, ma un testo del biblista Luca Mazzinghi. E’ un testo che ci invita a pensare/riflettere (quasi a studiare!) il “genere” di questo e tanti altri libri della Scrittura, e cioè il genere “narrazione” o “racconto”. L’articolo di Mazzinghi è un pò lungo. Per questo, il testo previsto per la lettura di oggi verrà “accompagnato” da me domani]

 

I due libri di Samuele, prima che essere libri storici in senso stretto, sono libri che “riflettono sulla storia” e che cercano di “comprenderla” alla luce della parola di Dio.

La forma letteraria scelta dagli autori di questi libri è quella della “narrazione”. Attraverso il racconto, ogni ascoltatore è invitato a entrare all’interno dell’evento narrato. [Ci chiediamo spesso: “E’ vero quello che è scritto e come è scritto?”] La verità del racconto sta nel vivere il racconto stesso in prima persona. Le storie di Samuele, Saul e Davide, spesso non verificabili dallo storico, divengono vere nel momento in cui gli ascoltatori le vivono. Dunque …

* Il racconto biblico non si presenta tanto come una comunicazione di informazioni, ma come una comunicazione interpersonale. – Il racconto biblico ci è dato per fare entrare chi lo ascolta all’interno dell’evento narrato. Occorre dunque acquisire la capacità di uscire dalla voglia di dare “messaggi”, fossero anche le più grandi verità, per riuscire piuttosto a coinvolgere gli ascoltatori della Scrittura nel dramma che viene narrato.

* Il racconto ha un valore quasi “sacramentale”; è in grado di mettere in gioco la vita di chi ascolta. – In questa chiave, acquista rilevanza particolare il ruolo del narratore, che ha il compito di riproporre i fatti in modo tale che essi provochino il lettore. Il racconto diviene in tal modo evocativo e cambia il lettore dall’interno.

* Il racconto è “memoria”, è un ricordo del passato che fa superare la lontananza temporale, permettendo di rivivere il passato stesso all’interno del presente e rendendo presente ciò che è assente. – Il racconto biblico rende vivo il passato. L’esperienza unica e irrepetibile di chi ha vissuto i fatti si incontra e si fonde con l’esperienza del lettore. Il testo biblico diviene allora uno “specchio” nel quale il lettore può ritrovare se stesso, incontrandosi con la parola di Dio e convertirsi.

 

* Lo studio delle parole, delle azioni, del dialogo, della struttura narrativa del racconto biblico, ci rivela alla fine un mondo complesso popolato di figure umane vive e libere: “era […] un punto che stava molto a cuore agli autori biblici; gli uomini ebrei, chiaramente, si divertivano a dipingere con arte questi personaggi vivi e a descriverne le azioni, e quindi crearono una fonte inesauribile di diletto per centinai di generazioni di lettori. Ma tale piacevole gioco immaginativo è profondamente mescolato con un senso di grande urgenza spirituale. Gli scrittori biblici foggiano i loro personaggi con una individualità complessa, talvolta affascinante, spesso fiera e tenace, perché è nell’ostinatezza dell’individualità umana che ogni uomo e donna incontra Dio o lo ignora, risponde a lui o gli si oppone. La successiva tradizione religiosa, nel complesso ci ha sospinto a prendere la Bibbia seriamente piuttosto che a goderla, ma la verità paradossale su questo punto è che imparando a gustare le storie bibliche più in pienezza, leggendole proprio in quanto tali, arriveremo anche a vedere in modo più chiaro ciò che esse intendono dirci su Dio, sull’uomo e sul regno pericoloso e cruciale della storia”