Sebbene avesse compiuto tali segni

Gv 12,37-50

Gesù si è nascosto, non parla più in pubblico. Subentra ora il narratore a nome della sua comunità, come lo farà a nome proprio più avanti per concludere il racconto evangelico (20,30s). Prima di condurre il suo lettore nella notte della Passione, o piuttosto prima di rallegrarsi al sole di Pasqua, l’evangelista dà uno sguardo retrospettivo sul rifiuto che è stato opposto al Rivelatore, nel tempo del suo incontro con gli uomini.

“Sebbene avesse compiuto tali segni davanti a loro (segni raccontati in questo Vangelo), non credevano in lui”. E’ costatazione della incredulità, nonostante i grandi segni compiuti. Si compie allora la parola detta dal profeta Isaia: Signore, chi ha creduto alla nostra parola?”. [“Nostra parola” è la parola del Servo del Signore, praticamente “la sua predicazione”]

Le parole di Isaia sono annuncio e non condanna: Isaia ha visto la gloria di Gesù (il Servo) e ha parlato di lui. L’incredulità dei capi non è da imputare a insuccesso del Servo del Signore (nel caso, Gesù) e quindi non dimostra che egli non è Servo. Piuttosto l’incredulità nei confronti di Gesù mostra che egli è Servo. Non è che i capi non hanno creduto perché lo dice la Scrittura (in questo caso sarebbero da apprezzare perché … l’avrebbero compiuta!). La Scrittura semplicemente pre-annuncia quello che di fatto è avvenuto e cioè che non hanno creduto al Servo. La loro incredulità è la prova storica che la parola di Isaia si compie e cioè che Gesù è il Servo del Signore, l’Inviato di Dio.

L’incredulità dei capi non è da imputare nemmeno (c’è una seconda citazione di Isaia) a Dio che … indurisce i cuori. Se è lui che indurisce, si dovrebbe dire: che colpa hanno le persone? Anche qui si vuol dire (con linguaggio ardito per noi) che la Scrittura pre-annuncia la durezza dei cuori. Annuncia cioè il fatto che essi non vedono, non comprendono, non si convertano … e così io (Gesù) non li guarisco, perché essi non vogliono.

“Tuttavia, anche tra i capi, molti credettero in lui”. Ma, a causa dei Farisei, non lo dichiaravano perché non volevano essere cacciati dalla sinagoga (noi diremmo: non volevano perdere il potere, poiché erano capi).

Abbiamo poi come un sommario della vita pubblica di Gesù. La prima affermazione è la sua forte unione col Padre: Gesù non è un eroe, un semidio, un meteorite … è sempre UNO COL PADRE.

La seconda affermazione è: “Io sono venuto nel mondo come luce”. Qui, luce va intesa come parola. Credere alla sua parola è uscire dalle tenebre.

Può avvenire, come è avvenuto e come purtroppo ancora avverrà, che “uno ascolta le mie parole e non le osserva”. In questo caso è la parola stessa che lo giudica. Non ora (perché ora è il momento in cui Gesù fa appello alla fede perché il mondo sia salvato) ma nell’ultimo giorno.

Perché hanno tanta importanza le parole di Gesù? Perché “Le cose che io dico, le dico come il Padre le ha dette a me”.

Conclusione, che è come una conclusione di tutto il suo insegnamento e dell’insegnamento di tutta la Scrittura: “Io so che il suo (del Padre) comandamento è vita eterna”. La Parola è Insegnamento/Luce. L’Insegnamento è Vita eterna = L’Insegnamento è e dona Vita eterna: quella vera, quella che dura, quella che … già abbiamo ereditato per il grande amore che Dio ha per noi!!

Ascoltiamo la parola antica della Scrittura: “Io susciterò loro un profeta in mezzo ai loro fratelli e gli porrò in bocca le mie parole ed egli dirà loro quanto io gli comanderò. Se qualcuno non ascolterà le parole che egli dirà in mio nome, io gliene domanderò conto” (Deuteronomio 18,18s).

Ascoltiamo la parola della Scrittura nel Vangelo di oggi: “Io non ho parlato da me stesso, ma il Padre, che mi ha mandato, mi ha ordinato lui di che cosa parlare e che cosa devo dire” (12,49).

Gesù dunque è il vero, definitivo Profeta.