Il segno che mostra come sia Dio a “consegnare” la città agli Israeliti è “il giavellotto”. Non tanto il giavellotto in se stesso, ma “le mani che lo tengono” indicano la potente presenza di Dio che guida le cose.
Infatti “non appena stese la mano, quelli che erano in agguato … si alzarono, corsero, entrarono, occuparono, appiccarono il fuoco”. Operazione compiuta … senza alcun sforzo dell’uomo!
E’ scritto: “Gli Israeliti li colpirono, finché non rimase nessun superstite o fuggiasco”. Il testo insiste sulla “pienezza” di vittoria facendo risuonare ossessivamente quel … “tutti fino all’ultimo”. E’ messo in atto, in modo rigido, la legge dello “sterminio”, quanto alle persone.
Anche per Ai, il suo re, c’è una memoria da conservare. “Il grande mucchio di pietre” sarà un segno per dire che nessuno resiste al Signore, e che Israele deve credere nella potenza di Dio e non nella propria.
“Allora Giosuè costruì un altare al Signore … In quel luogo scrisse sulle pietre una copia della legge di Mosè”. Due gesti molto importanti.
L’altare “fatto di pietre intere” (come il nostro di Bazzano!) è per i sacrifici al Signore. Già Abramo e Giacobbe avevano costruito un altare in questo luogo. C’è dunque l’idea della continuità e quindi della comunione delle generazioni. Ma c’è soprattutto l’adempimento di quanto il Signore aveva detto a Mosè (vedi Dt 11,26ss).
Poi c’è la scrittura della legge su pietre (come il nostro ambone!) e la sua lettura alla presenza di tutti. Si tratta della celebrazione di una alleanza e di un impegno. La terra è già donata (Gerico e Ai sono solo una a anticipazione) e il popolo ringrazia (altare) e si impegna (legge).